«Promuovere il diritto al piacere, difendere la centralità del cibo e il suo giusto valore»: questa la mission di Slow Food. È sulla base di tale obbiettivo che la condotta locale Slow Food Magna Grecia Metapontum inaugura una rubrica settimanale, un viaggio tra il cibo, la tradizione e la cultura lucana, seguendo il filo rosso della nostra storia.
Nel quarto articolo la Shëtridhlat, la pasta fresca di San Costantino Albanese.
LA STORIA
Val Sarmento, cuore del Parco nazionale del Pollino, appena 646 anime a più di 650 m s.l.m.; intorno, montagne. Ci troviamo a San Costantino Albanese, anche se, forse, sarebbe meglio scrivere il nome di questo piccolo comune in provincia di Potenza usando l’idioma dei suoi abitanti: Shën Kostandini i Arbëreshëvet. Questa perla incastonata nel massiccio del Pollino deve, infatti, le proprie origini agli insediamenti operati dagli esuli albanesi intorno al 1500, in seguito alla caduta della fortezza di Corone, città greca allora sotto la dominazione ottomana. È seguendo fili talora incomprensibili che la Storia, quella con la S maiuscola, a volte lontana, persino lontanissima, si dipana, si fa piccola, per giungere fino a noi, lambire le nostre esistenza e farsi soggettività reale, vera e viva. Queste le origini e questa oggi la cultura arbëreshë, un salto lungo oltre mezzo millennio che pure lascia inalterata l’identità, le funzioni religiose in rito bizantino, i costumi e la lingua, di una realtà che, conservando sé stessa, ha smesso di essere altra e si è unita alla nostra, più di 500 anni fa, tra le verdi montagne del Pollino.
LA SHËTRIDHLAT
La cultura arbëreshë in Basilicata non passa solo attraverso la conoscenza della storia antica, il racconto delle tradizioni, l’accensione dei pupazzi di cartapesta nella seconda domenica di maggio durante i festeggiamenti in onore della Madonna della Stella, per l’arte e per i costumi tipici. Nel loro insieme questi elementi vanno a costituire sì un inestimabile patrimonio culturale, rendendo, per altro, la comunità albanese una fonte di grande arricchimento per la Lucania intera; ma non sono tutto. Ad accrescere il bagaglio nostrano di questa piccola grande Arbëria lucana (con tale termine si indica l’insieme degli insediamenti albanesi in Italia) ci pensa la gastronomia con la shëtridhlat, un tipo di pasta fresca, inserita tra l’altro dal Mipaaf (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Basilicata (PAT), che il più delle volte viene erroneamente descritta come la classica tagliatella a noi certamente più familiare.
La realizzazione è, infatti, completamente diversa e presuppone una grande manualità, poiché la pasta viene realizzata esclusivamente a mano, senza l’ausilio del mattarello o della più moderna macchina tira pasta. L’impasto, a base di farina di carosella (un grano antico del Sud Italia), semola, acqua calda e olio extravergine d’oliva, viene lavorato fino alla completa omogeneità. Si forma, in seguito, un cerchio all’interno di esso, come se fosse una grande ciambella, e si va avanti ad assottigliare il cerchio con entrambe le mani fino a produrre un filo lungo molto sottile che non deve rompersi. Per evitare di rompere il filo di pasta, le mani vanno bagnate con acqua ed olio; infine, con l’aiuto della farina si appoggia il filo sulla mano e con un movimento rotatorio si crea una sorta di gomitolo. A forza di girare il filo si fa sempre più lungo e sottile. Le shëtridhlat, una volta cotte, vengono condite con legumi, ceci oppure fagioli. Nello specifico, secondo la tradizione gastronomica, andrebbero servite con i fagioli poverelli, dei fagioli piccoli e tondi cucinati nella pignatta. Questa particolarissima pasta di casa, chiamata un tempo la “pasta dei poveri”, rappresenta oggi nella cultura arbëreshë il classico piatto della domenica, cucinato generalmente dalle donne anziane del paese, ma a causa della grande abilità necessaria per prepararlo, senza una corretta trasmissione di questa lavorazione alle nuove generazioni, tutto il sapere manuale legato alla lavorazione della shëtridhlat rischia di andar perduto per sempre. La shëtridhlat figura, per questo, in compagnia di altri meravigliosi prodotti lucani, nell’elenco dell’Arca del Gusto di Slow Food, al fine di conservarne e diffonderne la conoscenza.
LA RICETTA
Ingredienti per 4 persone (la pasta):
250 g di farina di grano duro;
250 g di farina di grano 00;
2 uova;
un bicchiere di acqua tiepida;
un pizzico di sale.
Procedimento: su di una spianatoia mescolate la farina di grano duro e la farina di grano duro 00 più il pizzico di sale. Create una fontana al centro e aggiungete le uova e l’acqua, seguite impastando fino a ottenere un impasto omogeneo ed elastico. Lasciate riposare il composto, possibilmente in un luogo asciutto e privo di luce, coperto da un canovaccio pulito per circa 30 minuti. Una volta trascorso il tempo di riposo, riprendete in mano l’impasto e dividetelo in panetti che abbiano le stesse dimensioni. Bucate al centro ciascun panetto, infilatevi le mani e cominciate ad allargarlo in tondo comprimendo l’impasto, che assottigliandosi sempre di più, assumerà la forma di una ruota che a mano a mano si allarga. Raggiunto lo spessore desiderato, tagliate la matassa ai due estremi, ricavandone tanti spaghetti di egual misura, che andrete ad adagiare su una tovaglia per farli asciugare.
Ingredienti per il sugo:
300 g di fagioli;
1 spicchio d’aglio;
1 peperoncino;
due pomodorini.
Procedimento: Dopo aver cotto i fagioli in una pignatta piena di acqua salata, in una padella larga soffriggete l’aglio e il peperoncino. Procedete unendo prima i pomodorini spezzettati, poi, dopo 5 minuti, i fagioli cotti con tre mestoli della propria acqua di cottura e aggiustare di sale. Continuate cuocendo la pasta in abbondante acqua salata e saltate in padella.
Simona Pellegrini