«Promuovere il diritto al piacere, difendere la centralità del cibo e il suo giusto valore»: questa la mission di Slow Food. È sulla base di tale obbiettivo che la condotta locale Slow Food Magna Grecia Metapontum inaugura una rubrica settimanale, un viaggio tra il cibo, la tradizione e la cultura lucana, seguendo il filo rosso della nostra storia.
Nell’undicesimo appuntamento vi raccontiamo la Pera Signora della Valle del Sinni.
LA STORIA E IL TERRITORIO
Siamo nella Valle del Sinni, nella parte meridionale della Basilicata, un territorio prevalentemente montuoso tra il Parco Nazionale del Pollino e quello dell’Appennino lucano e Lagonegrese. Le montagne si smussano in dolci colline verso la parte centrale del fiume Sinni, da cui prende il nome la Valle, che diviene man mano più pianeggiante nel percorso che compie verso il Mar Jonio. È qui tra Rotondella e Valsinni, tra questo antico paese che affonda le proprie radici nel Neolitico e il caratteristico borgo medioevale che ospita oggi il parco letterario di Isabella Morra; tra l’innominabile Colobraro e la bella Nova Siri, fondata dai coloni ellenici proprio alla foce del Sinni; che viene ancora oggi coltivata la Pera Signora della Valle del Sinni, Presidio Slow Food dal 2015.
Una presenza che è possibile rivelare fin dal Settecento e che trova ulteriore conferma nella Statistica murattiana di epoca ottocentesca, l’inchiesta voluta dal re di Napoli, Murat, nel 1811 per meglio conoscere il territorio del Regno, prendendone in esame anche le diverse produzioni ortofrutticole. Le pere facevano parte non solo del paesaggio tipico di questa zona collinare, ma anche della vita sociale e rurale dell’epoca: ai margini dei campi di cereali i pastori erano soliti innestare i perastri selvatici con alcuni ecotipi di pere che venivano poi utilizzate alla raccolta per alimentazione delle loro famiglie e degli animali. Muscarelle, Muone, Lardere, Sciesciuu, Granete , San Giuvan sono alcune delle varietà locali presenti sul territorio, alcune delle quali, di qualità organolettica elevata, e che fino agli anni ’50 erano vendute tramite intermediari fino in zona di Napoli. Quando, poi, la meccanizzazione ha fatto ufficialmente il suo ingresso nella coltivazione dei cereali, la produzione di pere è andata via via diminuendo fino alla quasi totale scomparsa dalle aree agricole del Metapontino: i campi coltivati sono diventati appezzamenti estesi e gli alberi che li delimitavano sono stati abbattuti per non creare confini o impedimenti alla movimentazione delle macchine agricole, mentre le aree a forte vocazione frutticola si sono orientate alla produzione di pesche ed albicocche. Solo nelle aree marginali, meno interessate da questi fenomeni e dove gli agricoltori e pastori hanno continuato a innestare i peri selvatici con gli ecotipi locali le tante e diverse varietà di pere non sono andate perdute.
LA PERA SIGNORA DELLA VALLE DEL SINNI
Ma tra le tante varietà autoctone diffuse nella zona della Valle del Sinni ne troviamo una molto particolare: colore giallo alla raccolta e screziature di un rosso estremamente intenso che si sviluppano sull’epidermide in seguito alla sovramaturazione, in contrasto con la chiarissima polpa bianca. Dai 35 ai 60 gr di pura dolcezza e una serie di sfumature aromatiche che la rendono un vero e proprio tripudio per il palato. Stiamo parlando della Signura, la Pera Signora della Valle del Sinni, delicata nel profumo e nella consistenza, da mangiare al momento della raccolta, che avviene a luglio e si protrae poi in modo scalare, oppure ottima per la trasformazione in sciroppati, marmellate o essiccata. Eccezionale la sua resa in forma di confettura, dove minima è ovviamente l’aggiunta dello zucchero. È, inoltre, possibile gustarla all’interno di vari prodotti da forno, come biscotti di vari tipi sino ad arrivare a gelati e sorbetti completamente naturali e artigianali. «Ampliare la tipologie dei trasformati, al fine di allargare il mercato a soggetti sempre più desiderosi di prodotti autentici – questo l’intento dell’Associazione culturale S.E.I. sul Sinni – riflessione che scaturisce da una domanda in ascesa di prodotti particolari, sempre più legati a prassi di lavorazioni antiche e in disuso, capaci di rievocare ricordi di un tempo, nonché tutelare il patrimonio varietale locale».
Tutelare e rivalutare, insomma, quei cibi che hanno rappresentato e possono ancora rappresentare l’identità del territorio che gli ha fatto da culla, anche attraverso una narrazione dello stesso, con l’obiettivo ultimo di restituire alla terra e ai propri frutti la giusta dignità e il suo reale valore.
Simona Pellegrini