Presentato da Unitre Sant’Arcangelo il libro di Rocco Guerriero Sant’Arcangelo, La lingua dei Padri. “Una raccolta – dice il presidente del sodalizio, Antonio Amorosi, di eccezionale spessore culturale. Una pietra miliare nel panorama delle storie dei dialetti. Un documento raro e completo costituito da una ricchissima raccolta di espressioni, detti, modi di dire, imprecazioni, epiteti, soprannomi dialettali. Un immenso patrimonio culturale che viene consegnato alle generazioni future e da cui esse potranno continuare ad attingere e ad ispirarsi, prima che la globalizzazione cancelli definitivamente le storie dei Popoli e delle loro lingue originarie. E con esse la scomparsa della storia originaria e fondamentale della loro vita”.
Guerriero, con un linguaggio denso e accattivante, ha messo in evidenza come le varie sezioni del volume formano scrigni di autentica saggezza popolare e sono stati una vera e propria guida comportamentale per le popolazioni del passato nel campo dell’etica, dell’economia, della religione, dei rapporti sociali e perfino sul ruolo delle donne nella società arcaica in cui vivevano. Sempre accanto ai mariti nella loro veste di donne, di spose fedeli e sottomesse, di lavoratrici instancabili, ma in un ruolo assolutamente di scarsa rilevanza sociale e umana.
Una figura che i più anziani ricordano ancora quando, ritirandosi dalla campagna sul far della sera, si aggrappava alla coda dell’asino o del mulo per affrontare con meno fatica i ripidi sentieri che si inerpicavano sui fianchi della collina per tornare in paese a completare la giornata di casalinga. Con in testa un canestro che rimaneva in perfetto equilibrio “ppo’ rrobbe c’avia lavate alla iumara e assugate allu sole”, mano nella mano con il figlio più grandicello. Sul mulo, naturalmente, il marito-padrone, gli attrezzi agricoli e un po’ di prodotti strappati alla terra trasportati negli “sportoni”. Non sempre in groppa al mulo saliva anche la moglie. Era evidente la scarsa considerazione che quel mondo antico riservava inesorabilmente alla donna – subalterna.
“Femmene, ciucce e ccrepe: una chepe”. Donne, asini e capre: una sola testa.
Ha chiuso la serata culturale la professoressa Patrizia Del Puente, docente di Glottologia e Linguistica presso l’Università degli Studi della Basilicata, sostenendo che i dialetti lucani non hanno subito sostanziose corruzioni nel corso del tempo, perché paradossalmente, il secolare isolamento geografico della nostra Regione, in realtà, ha giocato a vantaggio del dialetto, salvaguardandolo da significative contaminazioni con la lingua italiana.
“Un patrimonio, quello dei dialetti, non paragonabile a quello delle altre regioni, perché è più ricco, conservativo e diversifìcato. La lingua italiana – ha detto la Del Puente – tende, per ragioni pratiche, a soffocare i dialetti, rappresentando gli stessi come una distorsione della stessa lingua, e, per ciò, costringendo, specie le nuove generazioni, ad abbandonarli. Problema che seriamente si pone in prospettiva. Ed a tale riguardo – ha sottolineato la studiosa – bisogna insistere per la salvaguardia del patrimonio linguistico locale, chiedendo, nel contempo alla scuola di insegnare un italiano corretto, senza però mai abbandonare la lingua viscerale, appunto il dialetto, che rappresenta la storia secolare di ognuno di noi. La varietà dei dialetti lucani, rappresenta la vera ricchezza di ciascun lucano, assieme alla diversificazione e alla conservatività”.
Nelle ricerche condotte dalla professoressa Del Puente, insieme alla sua equipe di studiosi presso l’Ateneo lucano, vi è un’area in Basilicata, che attraverso il dialetto conserva ancora le vocali toniche e le desinenze del latino, rappresentando un aspetto straordinario ed unico, come nel santarcangiolese. In merito, poi, al ruolo della lingua viscerale in una realtà dominata dall’economia, per la studiosa conservare il dialetto equivale a restituire ad ogni singola comunità le proprie radici, che la globalizzazione culturale, che accompagna quella dell’economia, tende a cancellare. «Il dialetto, in definitiva – ha concluso la professoressa dell’Unibas – rappresenta l’identità di un popolo, che è diversità, e, proprio per questo, è ricchezza da preservare e da non cancellare».
Il ricavato della vendita del libro edito dal Circolo Anspi “Pietre vive” di Sant’Arcangelo, per i tipi di Grafica Zaccaro, Lagonegro, 2021, sarà devoluto in beneficienza.
Pino Gallo