Il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge sull’autonomia differenziata, all’unanimità, accompagnato da un applauso dei presenti, 25 rappresentanti del Governo, dei quali solo 5 provengono dal Sud o dalle isole. L’iter legislativo dovrebbe terminare a fine anno, alla fine di un tortuoso percorso che coinvolgerà, a più riprese, Governo, Parlamento, Conferenza unificata e Regioni, ma che non prevede il confronto con i Comuni, Sindaci o ANCI, nonostante molte delle materie trattate abbiano parecchio a che fare con gli enti comunali.
L’autonomia differenziata non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a Regioni a statuto ordinario, come ovviamente la stessa Basilicata, di un’autonomia legislativa su materie al momento di competenza condivisa con lo Stato o esclusiva dello Stato. Offrire alle Regioni maggiori poteri legislativi può apparire come un’opportunità, ma un elemento importantissimo di questo disegno di legge è quello per il quale le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale sulle materie e ambiti di loro competenza, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive.
Sono molto preoccupato da sindaco di Matera, perché tra le materie previste dall’Autonomia differenziata ci sono ambiti e competenze molto delicate, come la sanità, l’istruzione, i trasporti, l’energia su cui il divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud è ancora tutto da colmare.
Quando Matera nel 2019 è diventata Capitale Europea della Cultura, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlò di Matera come simbolo dei vari Sud d’Europa, e l’allora premier Giuseppe Conte lanciò il giusto auspicio che da Matera partisse il riscatto per l’intero Sud del Paese.
Sono molto preoccupato anche da vice presidente del Consiglio Nazionale ANCI, perché quel riscatto tra i Comuni del Sud del Paese non si è ancora consumato e le differenze tra i vari Sud d’Europa sono ancora molto evidenti anche in Italia.
L’autonomia differenziata avrebbe un minimo di senso, se vivessimo ancora in feudi, in Regioni autosufficienti e circondate da mura, senza possibilità di muoversi e di spostarsi. Comporterebbe necessariamente una sottrazione di ingenti risorse alla collettività nazionale, al sistema Paese centrale, su servizi e infrastrutture logistiche col serio rischio di disarticolarle, penso ai trasporti, alla distribuzione dell’energia, all’università, alla sanità o all’istruzione, che per la loro delicata e imprescindibile funzione a tutti gli italiani dovrebbero avere necessariamente gestiti a livello strutturale in modo unitario e a dimensione nazionale.
Questa legge avrebbe soprattutto senso se tutte le Regioni partissero dai medesimi standard di qualità e di efficienza nei settori e nei servizi sopra citati. Ma se non abbiamo un sistema adeguato, di qualità nella sanità, nei trasporti, nell’edilizia scolastica, bisogna prima di tutto recuperare queste differenze tra Regioni del nord e Regioni del sud. Programmare prima gli standard, la precisa quantità di investimento e i dovuti impegni di spesa.
La sottrazione del gettito fiscale alla redistribuzione su tutti i territori violerebbe da un lato il principio di solidarietà economica e sociale contenuto in Costituzione, andando a aumentare le disuguaglianze tra Nord e Sud, con un conseguente crollo sociale ed economico dei territori più svantaggiati che potrebbe mettere facilmente in crisi l’intera Italia. D’altro canto contrasterebbe con i principi su cui si fonda il PNRR e l’Unione Europea di andare a riqualificare e migliorare le condizioni in cui versa il sud del Paese.
Ma poi, siamo così sicuri che una Regione sia realmente più in grado di fare meglio dello Stato nei settori dell’istruzione, dei trasporti o della sanità? Misuriamo in modo oggettivo, tramite l’analisi di dati storici la capacità delle varie Regioni nelle diverse materie. Su sanità e trasporti, per esempio, abbiamo report come quello di Agenas che offre una fotografia piuttosto avvilente per la Basilicata. E l’esperienza pandemica, ci ha lasciato un grande insegnamento, che occorre un coordinamento, un controllo e una gestione nazionale e centralizzata, per non ripetere ad esempio gli errori in Lombardia, dove l’ente regionale non è nemmeno riuscito a implementare un sistema efficace per la prenotazione dei vaccini. Problema risolto solo grazie all’uso del sistema nazionale di Poste Italiane.
Qualcuno afferma che sia giusto trattenere sul territorio le tasse dei residenti, al fine di usarle per migliorare i servizi, ma non sarebbe nemmeno corretto dare alle Regioni le tasse di chi risiede in un luogo ma matura reddito in altre Regioni.
Inoltre, con un sistema sanitario gestito a livello regionale, chi si trova temporaneamente in altre Regioni potrebbe avere grandi difficoltà nel farsi prescrivere e acquistare le medicine di cui ha bisogno. Quindi già il sistema di prescrizione non potrebbe diventare di competenza esclusivamente regionale.
L’autonomia differenziata darebbe il colpo di grazia al sistema sanitario italiano accentuando quel fenomeno di fuga di pazienti dalle Regioni del Sud, aumentando le diseguaglianze regionali e legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute.
Si sostiene che con l’istituzione di una Cabina di regia, si potranno stabilire i Livelli essenziali di prestazione (Lep) entro la fine del 2023. Finora lo Stato paga i servizi forniti agli enti locali in base a quanto era stato speso negli anni precedenti, così chi spendeva di più aveva di più nel criterio della “spesa storica”. Ora si vuole sostituire questo criterio con la “spesa standard”, ovvero creare uno standard di spesa nei costi dei servizi, definendo i Livelli essenziali di prestazione che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale. Cosa che nei venti anni trascorsi dall’approvazione della riforma costituzionale (la riforma del Titolo V della Costituzione 2001) che ha introdotto l’autonomia, non è ancora stata fatta. Mi chiederei il perché. Perché ci vogliono tanti soldi e criteri difficilissimi da stabilire che dividerebbero il Paese in rapporti di conflittualità. I LEP non basta considerarli, bisogna definirli con precisione e soprattutto individuare le fonti di investimento per un importo stimato di circa 70 miliardi di euro in personale e in infrastrutture, per consentire al Sud di arrivare ai livelli standard del Nord.
Mi preoccupa molto anche la competenza relativa all’istruzione. Questa deve rimanere centralizzata e statale, altrimenti andremmo con l’autonomia a colpire gravemente il sistema scolastico con un processo di fatto separatista in cui si avremmo programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati. Uno scenario criticato anche dall’autorevole Svimez.
Regioni del sud, come la Basilicata, possono sopportare una economia differenziata, ma non una differenziazione dei servizi. Nel settore della sanità aumenterebbe ancora di più l’indice di fuga per le prestazioni. Ed è inutile stabilire quanti ospedali occorrano, quanti tram, ferrovie, strade mancano in Basilicata se poi mancano i soldi per realizzarli. Lo hanno capito i governatori di Puglia e Campania, peccato che non lo si comprenda anche nella nostra regione e mi rammarica che i nostri rappresentanti nel parlamento regionale e nazionale non si dichiarino apertamente contrari a questo disegno di legge.