Al peggio non c’è fine! In Basilicata una crisi industriale dopo l’altra a minare non solo i livelli occupazionali, ma anche le basi della convivenza sociale e civile di una regione già alle prese con l’inquietante fenomeno dello spopolamento. L’ultima mannaia sul già gracile tessuto economico e produttivo l’ha scagliata la Callmat, che ha formalmente aperto la procedura di licenziamento collettivo per 252 unità lavorative dello stabilimento di Matera.
Potenzialmente circa 400 nuclei familiari, compresi coloro che verranno successivamente “graziati” da questa prima massiccia dose di licenziamenti, vedono minacciato il loro futuro e rischiano di restare senza un’importante fonte di reddito.
La Giunta Regionale di Basilicata si adoperi tempestivamente per scongiurare questo preoccupante scenario, coinvolgendo anche il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, affinché si attivi un serio tavolo di confronto nazionale con Tim, Callmat e le organizzazioni sindacali, che risulti più fruttuoso dell’inconcludente incontro svoltosi nello scorso mese di Novembre presso l’Assessorato alle Attività Produttive, conclusosi con l’impegno assunto dalla Regione Basilicata di intervenire per chiedere a Tim di ripristinare i volumi di committenza alla Callmat e verificare le possibili soluzioni della vertenza.
Non sappiamo se l’assessore Cupparo o chi per lui ha chiesto e ricevuto risposte da Tim, la quale unilateralmente ha deciso di tagliare i volumi, né tantomeno l’azienda Callmat può esclusivamente trincerarsi dietro le incomprensibili logiche di abbattimento dei costi di Tim, senza assumersi la sua parte di responsabilità ed attivare immediatamente gli ammortizzatori sociali per garantire una minimale forma di protezione a quanti rischiano di essere espulsi dal mondo del lavoro.
Le Istituzioni, dalla Giunta Regionale al Governo nazionale, si assumano le loro responsabilità ed intervengano con decisione per salvaguardare tutti i posti di lavoro attualmente in organico alla Callmat, richiamando sia questa azienda che la Tim a non effettuare il perverso gioco dello scaricabarile né a far pagare esclusivamente alle maestranze i costi di una riconversione e razionalizzazione industriale, che non può prescindere dai sacrosanti diritti dei lavoratori.