Con la fine della quaresima, periodo che ripone notevole attenzione nei confronti di riti propiziatori e digiuni, volge al termine anche il periodo dell’anno caratterizzato da privazioni alimentari per gli osservanti e i religiosi cominciato con i famosi quaranta rintocchi che mettevano la parola fine al periodo carnevalesco.
Una rinascita, dunque, come la stagione che si appresta ad arrivare: la primavera. Ergo una rinascita sotto tutti i punti di vista. Tale rinascita possiamo evidenziarla anche nella tradizione culinaria montese e in generale lucana. Simbolo di questa metafora, le uova. Da sempre ingredienti alla portata di tutti, poveri e più abbienti. Se pensiamo a un prodotto al cui interno è presente l’uovo, beh, non possiamo che prendere in considerazione la colomba, oggi prodotta per lo più su larga scala. Presente anche la carne, in particolare quella di ovini e suini. Spazio anche a “bocconetti”, taralli e pastarelle.
Il motivo per il quale la tradizione agro-pastorale fissa la base culinaria proprio su questi due tipi di carne è facilmente intuibile: la loro disponibilità.
Non possiamo non citare la focaccia tipica di Montescaglioso per eccezione che si preparava e che si prepara nel periodo pasquale nel dialetto montese chiamata A K’ lomm’ con ingredienti semplici e genuini del posto, come la farina, il sale, il lievito, l’olio, semi di finocchio, mezzo litro di acqua, uova , mezzo kilo di salsiccia stagionata, ed il formaggio.
Infatti basti pensare al ‘900 dove tutti, o quasi, possedevano in casa un capo di suini, caprini e pollame. Pochi sono gli anziani che ancora rispettano stalinamente le tradizioni antiche in quanto ormai il fenomeno (o piaga sociale) del consumismo ha reso tutta la magia delle tradizioni in puro materialismo.
Quindi, per saperne di più, qual modo migliore che chiedere a qualche anziano una testimonianza diretta di come, nel secolo antecedente, venivano vissute le tradizioni? Detto fatto. Alle mie domande risponde una anziana signora che afferma:” ai miei tempi non c’era tutto questo spreco, infatti le portate consumate erano tutte povere; dunque, niente di eccezionale. I cibi più consumati nel periodo di Pasqua erano ovini, caprini, pastarelle, pasta di semola e carne ripiena. Molti anche i legumi come ceci e fave”.
Unica bevanda presente, di cui Bacco era il dio secondo la tradizione romana, il vino.
Al di là dell’articolo prettamente giornalistico, possiamo immedesimarci in quelle che sono le nostre radici. Tradizioni, queste, che a livello antropologico ci fanno capire molto sulla cultura contadina da cui tutti proveniamo. E forse, dovrebbero far riflettere soprattutto i più giovani come me che l’unica strada percorribile non è il progressismo sfrenato ma anche il ricordo delle tradizioni che via via, purtroppo, stiamo perdendo.
Raffaele Venezia