La Giunta comunale ha deliberato l’atto di intitolazione di una via del centro storico, al compianto sacerdote materano don Vito Staffieri. Si tratta della strada priva di autonoma denominazione, tra via del Corso e via delle Beccherie, alle spalle del palazzo dell’ex Banco di Napoli. «Con questo atto dell’esecutivo -spiega il sindaco Domenico Bennardi- abbiamo voluto dare il giusto riconoscimento alla figura di un sacerdote materano, servo di Dio, la cui opera evangelica è universalmente riconosciuta a vantaggio degli ultimi, degli anziani, dei carcerati e in difesa dei più poveri. Tutto si è concretizzato, oltre che in una personale testimonianza di vita, in opere oggi ancora presenti.
Di Staffieri -conclude il sindaco- si ricorda anche la particolare attenzione rivolta alla formazione dei giovani in qualità di insegnante nel Seminario diocesano, nonché la sua cultura, quale studioso di Teologia ed autore di numerosi volumetti e pubblicazioni». All’anagrafe Vito, Donato, Cipriano, Emanuele Staffieri, don Vito è nato a Matera il 10 maggio 1885 e morì all’età di 106 anni, il 5 agosto 1991. Attualmente il corpo riposa nel “Cimitero vecchio”, dove di recente la Curia ha apposto una targa per indicarne la tomba. Il soprannome della sua famiglia era “Paradiso”, per indicarne il benessere, ma anche l’essere di indole gentile e disponibile. Don Vito scelse di entrare nel seminario arcivescovile di Matera e il 16 luglio del 1911 venne ordinato sacerdote, con incarico di confessore presso San Rocco e ospedale, San Francesco Assisi, Santa Chiara e Santa Lucia.
Oltre al Rettorato di Santa Lucia, divenne cappellano delle suore di Sant’Anna (ospedale) e delle Riparatrici del Sacro Cuore e assistente d’Azione cattolica Giovani. Appena ordinato sacerdote gli fu affidata la rettoria della chiesa di Santa Chiara. Qui operò instancabilmente innovando il culto e la devozione verso la Madonna del Carmine e avviò il catechismo. Reclutò i ragazzi dei rioni che sostavano nelle piazzette per tutto il giorno. A fine catechismo, don Vito regalava a ciascuno una caramella; in quegli anni di povertà una caramella era una ricchezza per i ragazzi. Reclutato nella prima Grande Guerra dal 1916 al 1919, giovanissimo sacerdote fu soldato di sanità a servizio degli ospedali militari di Altamura, Bari, Canosa e di Salonicco, esperienza che gli provocò una totale sordità. Allora fu incaricato dall’arcivescovo dell’epoca di occuparsi presso la Cattedrale di Matera della formazione e del sostegno spirituale dei giovani sacerdoti. Furono da lui guidati, sostenuti: don Pietro Tataranni, don Vito Fontana, padre Alba, don Giacinto Paolicelli, don Felice D’Ercole. Divenne il confessore personale di Mons. Cavalla che nel 1949 lo elesse rettore di Santa Lucia, luogo in cui vi era già la pratica dell’esposizione quotidiana del S.S. Sacramento. Il progetto più grande a cui si dedicò fu la “Cittadella” della umana e cristiana fraternità, il Villino del sollievo, che avrebbe accolto poveri e bisognosi. Con le offerte di denaro raccolte riuscì a comprare un pezzo di terra sterile sulle murge dove sarebbe sorta la Cittadella, rimasta incompiuta.